IL PROGRESSO E GLI OPERAI

 

Due esempi lampanti di come il progresso nel capitalismo

 significa regresso per il proletariato.


 

1) Usando il solito ricatto occupazionale e contando sulla complicità dei sindacati filopadronali la Fiat sta obbligando gli operai degli stabilimenti italiani ad osservare un sistema aggiornato di misurazione dei tempi occorrenti per la produzione. E’ il cosiddetto TMC2, già adottato a Melfi e a Pratola. 

Con la nuova metrica i lavoratori vedono accrescere i ritmi ed i carichi di lavoro, la cadenza nelle linee di produzione si esaspera e le pause diminuiscono. La velocità di esecuzione (il cosiddetto rendimento), che con la precedente metrica TMC1 era espressa in 133,33 centesimi di minuto, ora passa a 163, 38.

Le macchine e le linee vanno più svelte. Il lavoro si intensifica, producendo di più nello stesso tempo.

Per fare un esempio, alla Carrozzeria di Mirafiori se prima dell’introduzione del TMC2 un operaio doveva lavorare su 250 autovetture il giorno, ora deve lavorare su 292. Si costringe cioè l’operaio a far entrare in un turno una più grande quantità di lavoro.

Assieme allo sfruttamento aumentano la fatica (di circa il 20%), lo stress, la tensione, il logoramento psicofisico, i pericoli. Il controllo diventa da caserma.

Ma non si vede un centesimo in più in busta paga e di conseguenza il valore della forza lavorativa cala.

E’ stato calcolato che un operaio Fiat in 40 minuti di lavoro produce il valore della propria forza lavorativa, ossia il valore dei mezzi di sussistenza che gli necessitano. Per tutto il tempo restante crea plusvalore che resta nelle mani del capitalista. Con l’introduzione della nuova metrica si accorcia quella parte della giornata lavorativa necessaria all’operaio per produrre l’equivalente dei propri mezzi di sostentamento e si accresce quella rubata dai padroni. 

Come si è arrivati al TMC2? I padroni hanno per anni studiato e sperimentato la nuova metrica del lavoro. Si sono avvalsi dei progressi tecnico-scientifici, del perfezionamento degli strumenti di produzione, dell’ergonomia, dell’organizzazione della produzione, della microgestualità e della medicina del lavoro. Si sono appropriati dell’esperienza stessa degli operai, della loro abilità di dettaglio.

Paradossalmente i più potenti strumenti per abbreviare il tempo di lavoro e conquistare tempo libero, per diminuire la fatica e distribuire su tutti i membri della società il lavoro, si trasformano nelle mani dei capitalisti nel mezzo più sicuro per dissanguare gli operai, per peggiorarne le condizioni di lavoro e di vita.



2) Il governo in carica, sostenuto dagli industriali, ha presentato una controriforma delle pensioni. Dal  2008 i lavoratori potranno andare in pensione a 65 anni e le lavoratrici a 60 anni, oppure bisognerà avere 40 di contributi.

Le conseguenze sono chiare a tutti i lavoratori. Le pensioni di anzianità (quelle con cui si può andare in pensione dopo 35 anni di lavoro) saranno liquidate. Per gli operai che nei prossimi anni decideranno di lasciare la fabbrica prima della vecchiaia il calcolo con il sistema contributivo di tutta la vita lavorativa comporterà una pensione tagliata della metà rispetto all’ultima retribuzione.

Per i giovani cambia del tutto la normativa attuale. Con la decontribuzione si determinerà un ulteriore abbassamento dei trattamenti pensionistici. Operai anziani e operai giovani saranno quindi obbligati a lavorare fino a tarda età per non fare la fame.

Ma come viene giustificata questa mattanza sociale? Nel discorso televisivo a reti unificate Berlusconi, per convincere i lavoratori della necessità e della giustezza della controriforma, ha sfoderato un argomento chiave: “Viviamo molto più a lungo dei nostri padri, e viviamo in condizioni di salute migliori. Oggi la vita media tende ad oltre 80 anni. Questo è l’effetto del progresso scientifico e del progresso economico, ed è una cosa splendida, una grande conquista della nostra civiltà. Ma questo vuol anche dire che chi lavora dovrà contribuire per la pensione di un numero sempre più alto di anziani.

Che beffa! Grazie allo sviluppo delle scienze e della tecnologia, grazie ai progressi della medicina e al miglioramento della alimentazione, grazie alle conquiste ottenute con decenni di dure lotte gli operai vivono di più, stanno meglio in salute rispetto a prima, ma tutto ciò si rivolge contro di loro, costringendoli per più anni alla schiavitù del lavoro salariato ed a andare in pensione più poveri.

Se la vita media non si fosse allungata di dieci anni dal 1960 ad oggi l’abolizione delle pensioni di anzianità non si sarebbe mai posta. E invece dato che viviamo in media più a lungo i padroni pensano bene di spremere plusvalore più a lungo, salvo mandarci a casa con una pensione miserevole quando ci considerano inutilizzabili per le attività produttive.

La scienza progredisce? Le conoscenze avanzano? Si allunga la durata della vita? Ebbene il capitalismo non riserva altro che trasformare questi miglioramenti in peggioramenti per i lavoratori sfruttati, prolungandone la vita lavorativa. Questa è la verità, altro che la balla dell’insostenibilità della spesa pubblica, visto che negli ultimi decenni la produttività del lavoro è aumentata a livello esponenziale e la società e più ricca.

La faccenda delle pensioni illustra a meraviglia l’assurdità di un sistema basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, in cui lo sviluppo delle forze produttive si ritorce contro i produttori, impedendo loro di godere appieno dei progressi, legandoli più a lungo ai ritmi infernali della fabbrica. E’ un contrasto sempre più  stridente, che necessita di un superamento rivoluzionario.

Non ci sono dubbi. La lotta della classe operaia deve porsi il compito di licenziare il capitalismo al più presto, senza pensione e senza rimpianti, così da permettere l’affermazione di nuovi rapporti di produzione socialisti, corrispondenti al carattere sociale ed al livello di sviluppo delle forze produttive.