SULLA CRISI GENERALE
DEL CAPITALISMO
Una chiara definizione
dei concetti di crisi generale e di crisi da sovrapproduzione è
indispensabile per effettuare una “analisi concreta della situazione concreta”,
per motivare e dirigere politicamente l’azione quotidiana.
Spesso nei dibattiti pubblici e nelle colonne di
pubblicazioni di orientamento marxista
questi due gradini fondamentali del sapere marxista-leninista vengono travisati
e rovinati, con conseguenti ruzzoloni nella melma revisionista. A causa delle
deviazioni in campo teorico provocate da correnti antileniniste si diffondono
fra i compagni interpretazioni erronee, che hanno ripercussioni notevoli sul
piano politico, programmatico ed
organizzativo.
Con il presente articolo ci proponiamo quindi di
rimettere sui piedi del materialismo dialettico e storico un’astrazione
essenziale, quello di crisi generale del capitalismo, che molti fanno poggiare
sulla testa dell’idealismo e del soggettivismo borghese. Prossimamente
affronteremo la questione della crisi da sovrapproduzione e le sue
volgarizzazioni.
I |
principi teorici della crisi generale del
capitalismo sono stati elaborati da Lenin contemporaneamente all’analisi
dell’imperialismo quale stadio supremo ed ultimo dello sviluppo del capitalismo
e nel corso stesso della creazione dello stato operaio in Russia.
La crisi generale del capitalismo
costituisce un fenomeno ben più vasto della crisi economica, in quanto colpisce
la totalità del sistema imperialista mondiale ed abbraccia tutti gli aspetti
del modo di produzione vigente: la sua economia, la sua ideologia, la sua
politica, la sua cultura, la sua morale, i suoi aspetti militari, il suo
rapporto con l’ambiente, ecc. ecc. In due parole è la crisi della struttura e della sovrastruttura dell’ordine
borghese come sistema mondiale.
Non c’è ambito della vita sociale che non sia
colpito da tale crisi, in quanto essa si origina dalla decomposizione
sempre più avanzata dell’imperialismo, che è capitalismo agonizzante,
caratterizzato dalla tendenza alla stagnazione ed all’imputridimento in tutti i
campi ed allo stesso tempo vigilia della rivoluzione proletaria.
La caratteristica
fondamentale della crisi generale del capitalismo è l’incessante processo
rivoluzionario, l’aspra lotta fra le classi a livello nazionale ed
internazionale, fra proletariato e borghesia, fra i popoli oppressi e
l’imperialismo. Come conseguenza della lotta di classe e della decomposizione
del sistema durante la crisi generale del capitalismo si distaccano dei paesi
dalla catena imperialista ed il mondo è portato a dividersi in due sistemi:
quello capitalista e quello socialista, in competizione fra di loro.
Le altre caratteristiche principali della crisi
generale del capitalismo sono: l’ineguaglianza di sviluppo fra paesi capitalistici;
la sovrapproduzione ricorrente e la disoccupazione di massa nei paesi
capitalistici; la crisi del sistema coloniale dell’imperialismo;
l’acutizzazione del problema dei mercati di sbocco, dell’approvvigionamento
delle risorse; l’inasprimento delle questioni nazionali e razziali; la tendenza alla reazione politica ed alla
guerra per la nuova ripartizione economica del mondo e delle sfere di influenza
fra gli stati ed i monopoli capitalistici internazionali.
La storia del secolo
scorso ha dimostrato che lo scontro fra raggruppamenti ostili di stati
capitalisti - che avviene sulla base dello sviluppo ineguale e
dell’inasprimento della concorrenza -
facilita la rottura in alcuni punti deboli del fronte imperialista ed il
progressivo distacco dei paesi dal sistema capitalistico.
E’ importante
comprendere che la crisi generale del capitalismo abbraccia un’intera epoca fatta
di crisi, di crolli, di guerre imperialiste e di guerre di massa, di vittorie del proletariato e di sconfitte
della borghesia, di successive offensive, ritirate e controffensive di classe: un percorso tortuoso e ricco di
brusche svolte. Così come la crisi
generale non scorre immutabile e sempre uguale a se stessa, la maturazione
della rivoluzione socialista nei diversi paesi non avviene contemporaneamente,
ed i rapporti di forza fra i paesi capitalistici e fra le classi si modificano
rapidamente e continuamente.
Visto nel suo
svolgimento questo lungo periodo di acutizzazione della lotta delle
classi, di avvicendarsi di periodi di rivoluzione e di reazione, di pace e di
guerra, di momenti di maggiore acutizzazione dei fenomeni tipici della crisi
generale e di stabilizzazioni relative e provvisorie, di crescenti contrasti
sociali è un periodo di “fallimento del capitalismo in tutta la sua
estensione e di nascita della società socialista” (Lenin, Rapporto sulla
revisione del programma e sul cambiamento
della denominazione del Partito,
all’VII congresso del PSODR, 6-8 marzo
1918).
Dunque non tanti
singoli episodi scollegati gli uni dagli altri, bensì un processo permanente
e strutturale di crisi di un sistema per il quale da tempo è giunto il
momento di essere sostituito da una formazione economico-sociale superiore. Non
un fatto unico ma un unico processo di portata storica.
Da ciò ne consegue che
è sbagliato parlare di una prima e di una seconda crisi generale
del capitalismo. Questo sproposito è tipico di alcuni gruppi e correnti che
fanno coincidere l’inizio della “seconda crisi” con alcune manifestazioni più
evidenti della crisi sul terreno economico emerse intorno alla metà degli anni
settanta del secolo scorso.
La stessa concezione
erronea si manifesta anche sotto forma della caratterizzazione della crisi
generale come “crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale”. Ciò significa
confondere cose ben diverse ma che si condizionano a vicenda, dato che
la crisi generale del capitalismo va
distinta dai periodi di stagnazione o di ripresa più o meno lunghi, dalle
epidemie cicliche nelle quali vengono distrutte parte delle forze produttive
(epidemie che secondo certi opportunisti di sinistra oggi sono di natura
diversa da quelle analizzate da Marx). Quanto all’interpretazione della crisi
economica attuale come sovrapproduzione
assoluta di capitale - che si trasformerebbe in crisi generale di lungo
periodo – ci incarichiamo di criticarla in modo approfondito in un
prossimo numero.
Certo è che le crisi
economiche e finanziarie che attanagliano il mondo capitalistico negli ultimi
trenta anni - per nulla abbreviate dalle politiche anticicliche - hanno inasprito
e causato un ampliamento senza precedenti di molti fenomeni specifici e
distruttivi della crisi generale del capitalismo; hanno aumentato notevolmente l’instabilità del sistema ed
accelerato il processo di disfacimento dell’ordine imperialista. Queste
devastanti e poliedriche crisi (che vengono superate solo preparando la strada ad altre più estese e
distruttive, come spiegava Marx nel Manifesto) dimostrano che i rapporti di produzione capitalistici
entrano in un contrasto sempre più stridente con forze produttive che divengono
di giorno in giorno maggiormente potenti e socializzate.
Da ciò non se ne può in nessun caso dedurre che
la crisi generale del capitalismo possa essere ridotta alle crisi
economiche o possa avere interruzioni
e soluzioni di continuità; che ci sia cioè stata una prima ed una
seconda o una terza crisi, intervallate da periodi di ripresa
dell’accumulazione del capitale e di nuova generale espansione delle attività
economiche (per esempio i decenni successivi alla seconda guerra mondiale),
oppure determinate dai flussi e riflussi della rivoluzione proletaria.
A ben vedere tale tesi
- che concepisce le varie tappe della crisi generale come crisi isolate,
staccate l’una dall'altra, indipendenti l’una dall'altra - serve
a dimostrare la possibilità di valicare o quanto meno trovare una soluzione
temporanea alla crisi generale nell’ambito stesso dell'imperialismo, che
in tal modo viene concepito come capitalismo "ringiovanito" e capace
di rigenerarsi.
In realtà, anche nei periodi di congiuntura favorevole più o meno lunga
l'imperialismo non muta la sua
natura di capitalismo che ha raggiunto lo stadio più elevato e conclusivo,
trasformandosi in capitalismo
parassitario e putrescente.
All'opposto di quanto affermano i sostenitori della "seconda
crisi" la decomposizione del sistema nel suo insieme non si arresta
durante le fasi di ripresa dell'attività economica, e pertanto la sua crisi
generale continua ad esprimersi sotto molteplici aspetti.
E’ del tutto evidente
quali possono essere le pericolose conseguenze sul piano politico di
tale errore frutto di una visione limitata e superficiale – influenzata
dall’economicismo e dal soggettivismo - della crisi generale del capitalismo. L’inesatta comprensione del fondamento della crisi
generale del capitalismo finisce in effetti per portare acqua al mulino socialdemocratico,
che si muove intorno alla linea della risoluzione della crisi generale
attraverso la neutralizzazione delle contraddizioni sociali e la modernizzazione del capitalismo.
Contrariamente agli opportunisti di destra e di
"sinistra" riteniamo che nonostante il superamento delle crisi
cicliche, parziali o settoriali
(ottenuto scaricandone il fardello sulle spalle della classe operaia e dei
popoli), nonostante l'alternarsi di periodi di inasprimento e di
affievolimento momentaneo della crisi
nei diversi campi (il che comporta la necessità di determinare tattiche
corrispondenti alle concrete condizioni di sviluppo della società), nonostante
le controtendenze che la borghesia mette in campo, non esiste altra via
di uscita dalla crisi generale del capitalismo al di fuori della rivoluzione
proletaria. Questo perché il carattere antagonistico e la qualità delle
contraddizioni del modo di produzione capitalistico, che raggiungono nel
periodo dell'imperialismo il massimo del loro sviluppo, determinano anche la
forma del loro superamento, vale a dire la necessità della lotta di classe
rivoluzionaria. "Soltanto la rivoluzione proletaria socialista
può trarre l’umanità dal vicolo cieco in cui l'hanno condotta l’imperialismo e
le guerre imperialistiche": quanto risuonano profonde ed attuali le
parole di Lenin!
Volendo periodizzare
la crisi generale del capitalismo secondo alcune tappe storiche, che
sono altrettanti suoi momenti di sviluppo, dobbiamo dire in estrema
sintesi che essa è iniziata nel corso della prima guerra mondiale
inter-imperialista (1914-18). Questa guerra scosse tutto il sistema del capitalismo mondiale ed acutizzò la
lotta di classe che si trasformò in rivoluzione proletaria. Con l’instaurazione della dittatura del
proletariato ed il distacco dell’Unione Sovietica dal sistema capitalistico la
crisi generale del capitalismo si
sviluppò in estensione ed in profondità. Si vide comparire per la prima
volta una contraddizione nuova e di
portata universale, quella fra il capitalismo morente ed il socialismo
nascente. Pur conseguendo grandi vittorie nell’URSS di Lenin e di Stalin il
movimento operaio subì in quel periodo anche sconfitte, la più pesante della
quale fu la vittoria del fascismo in Germania nel 1933.
Con la seconda guerra
mondiale, originata dall’aggravamento della competizione imperialista, si aprì
la seconda tappa della crisi generale del capitalismo. Con la vittoria dell’URSS ed il distacco dal
sistema capitalistico di una serie di paesi di democrazia popolare, con la sconfitta del nazifascismo e l’indebolimento
delle principali potenze coloniali europee la situazione peggiorò per la
borghesia. Il mercato mondiale unico
del capitalismo si disgregò, si costituì un vasto campo socialista;
entrò in crisi profonda il sistema coloniale sotto i colpi della lotta delle
nazioni e dei popoli oppressi dell’Asia e dell’Africa. Per tutta risposta la
borghesia, riunita sotto l’egida dell’imperialismo USA che era emerso come
potenza egemone, diede vita ad una
controffensiva di carattere strategico contro il socialismo ascendente e la
lotta antimperialista delle masse, per stabilizzare il capitalismo particolarmente
in Europa. Sostenuto da un eccezionale
ciclo di espansione economica - che comunque non riguardò i paesi
dipendenti - e favorito sul piano politico ed
ideologico dall’affermarsi del revisionismo alla direzione dei partiti
comunisti, l’imperialismo registrò delle vittorie come quella del XX Congresso
del PCUS, che segnò un punto di svolta nei rapporti di forza fra le classi a livello mondiale, ma subì anche delle
dure sconfitte grazie alla lotta antimperialista e dei liberazione dei popoli:
Cina, Vietnam, Cuba, Algeria, ecc.
Durante la seconda
tappa della crisi generale si rafforzarono i monopoli finanziari
internazionali quale settore dominante dell’economia capitalistica
mondiale, che conquistarono un vantaggio insuperabile sugli altri capitali meno
internazionalizzati. Allo stesso tempo si sono accentuati sia il carattere
parassitario del capitalismo monopolistico sia la sottomissione dello stato
capitalista ai monopoli in funzione della ricerca del massimo profitto.
Nonostante il periodo di espansione preparato da decenni di depressione,
fascismo e guerra, le contraddizioni del capitalismo si sono spinte in avanti,
mostrando che il massimo risultato che la borghesia può raggiungere è
costringere l’eruzione di tali contraddizioni in forme nuove e più devastanti
(riarmo nucleare, creazione di mercati artificiali, aumento dell’inflazione,
ecc.).
L’attuale tappa, la terza, della crisi generale
del capitalismo, è iniziata alla fine degli anni sessanta dello scorso
secolo, allorquando si manifestarono negli USA i primi sintomi di una lunga e
profonda crisi ciclica mondiale da sovrapproduzione, che in seguito ebbero come
effetto l’abbandono degli accordi di Bretton Woods (inconvertibilità del
dollaro), l’aumento di prezzo delle materie prime e del petrolio, la
stagflazione, la disoccupazione persistente di massa, il ricorso massiccio alla
speculazione finanziaria come panacea alla insufficiente valorizzazione del
capitale nel ciclo produttivo, la crisi duratura di interi settori produttivi e
del mercato mondiale, ecc. ecc. Durante tutti gli anno settanta e ottanta tali
fenomeni si sono esacerbati, nonostante le riprese momentanee.
Il crollo della
borghesia revisionista al potere in
URSS, avvenuto a fine anni '80, contrariamente a quanto affermano i
socialdemocratici, è stato un fattore di aggravamento della crisi
generale del capitalismo. Gli avvenimenti dell’ultimo decennio provano
ampiamente che siamo entrati in una fase più convulsa della crisi generale:
instabilità finanziaria, recessione globale, guerre permanenti di aggressione.
La presente tappa
della crisi generale del capitalismo ha visto l’aggravarsi di tutte le
contraddizioni fondamentali del capitalismo. In particolare l’ineguale
sviluppo economico e politico dei paesi capitalisti ha portato ad un aumento
delle rivalità e delle contraddizioni politico-economiche e militari fra i
monopoli e le potenze capitaliste.
All’interno dei paesi
imperialisti la crisi si manifesta in campo politico sotto la forma
dell’attacco aperto della borghesia monopolista contro le conquiste e le
libertà della classe operaia, con lo scopo di instaurare regimi reazionari e
fascisti per imporre una ferrea dittatura della classe proprietaria dei
mezzi di produzione.
Di fronte a questa
offensiva multilaterale la classe operaia ed i popoli reagiscono rafforzando la
loro protesta e la loro lotta rivoluzionaria.
Nella fase attuale le
ondate della lotta del proletariato hanno ripreso slancio in molti paesi
e sono in costante ascesa, dimostrando che liberali e riformisti non
possono arrestare l’esplosione delle energie rivoluzionarie della classe
destinata a seppellire il capitalismo. Gli antagonismi di classe si manifestano
in modo sempre più netto, suscitati dallo sviluppo internazionale del capitale
monopolistico finanziario. Maturano le condizioni per il determinarsi di situazioni
rivoluzionarie nei paesi capitalistici (sul concetto di “situazione
rivoluzionaria” vedi Teoria & Prassi n. 7).
I fatti più recenti -
a partire dalla recessione contemporanea dei principali imperialisti e dell’avvio
di una campagna offensiva da parte dell’imperialismo USA e dei suoi alleati -
dimostrano che siamo entrati in una fase di aggravamento e di acutizzazione
di tutti i fenomeni della crisi generale del capitalismo.
Grandi battaglie sono
davanti a noi in cui si sarà possibile staccare addirittura più anelli
della catena imperialista.
Occorre guardare
avanti con fiducia. In un secolo di imperialismo l'esercito proletariato ha
continuato la sua estensione a livello mondiale, superando ormai il miliardo
di operai salariati.
L’operaio italiano,
l’operaio europeo, l’operaio "occidentale" ha centinaia di milioni di
nuovi compagni negli operai asiatici, sudamericani, africani: un numero che cresce
di giorno in giorno alla faccia delle balorde teorie della sparizione della
classe operaia e della cosiddetta
"moltitudine" negriana.
A fianco del
proletariato esistono immense masse diseredate (contadini poveri,
lavoratori manuali ed intellettuali sfruttati) che sono i suoi naturali
alleati. Si è affacciata sulla storia
la più estesa giovane generazione che l’umanità ha mai visto: un
potenziale rivoluzionario inestimabile.
Non solo. Per via
della profonda interconnessione dell’economia mondiale, dello sviluppo dei
mezzi di comunicazione, è facile
prevedere che le conseguenze dei prossimi balzi rivoluzionari avranno effetti più
profondi, si propagheranno in modo più ampio, assumeranno un ritmo più
veloce e saranno meno isolabili da parte della borghesia.
Se noi quindi ci poniamo
non solo dal punto di vista del passato, ma da quello del presente e del futuro
del movimento comunista ed operaio vedremo che si stanno accumulando condizioni
che rendono necessaria ed inevitabile la vittoria del proletariato, che
permetteranno dapprima ad alcune sezioni del proletariato e poi alla maggior
parte di esso di fuoriuscire dalla crisi generale della società capitalistica rompendo
l’involucro imperialista che soffoca le moderne forze produttive materiali.
Come sarà superata definitivamente
la crisi generale del capitalismo? Che il capitalismo vada verso il tracollo è
dimostrato in modo evidente dai fenomeni e dai processi economico-sociali del
mondo attuale. A partire da questa consapevolezza i comunisti avversano le
teorie della autoliquidazione del capitalismo, combattono decisamente gli
atteggiamenti di attesa messianica dell'aggravarsi delle contraddizioni del
sistema come via di uscita dal tunnel degli orrori della vecchia società, in
quanto teorie ed atteggiamenti che attenuano l’importanza effettiva della lotta
di classe e sono utili alla classe dominante.
La crisi generale avrà
soluzione quando l’evoluzione sociale avrà preparato le condizioni oggettive e soggettive dell’abolizione del
capitalismo, quando la classe operaia spezzerà le catene dei rapporti di
produzione borghesi trasformando la base economica e con essa l'intera
sovrastruttura. Dunque essa sarà superata definitivamente con il passaggio dal
capitalismo al socialismo su scala mondiale, con la vittoria finale del
proletariato e dei popoli sull’imperialismo, che crollerà come risultato dello svilupparsi della rivoluzione
proletaria e delle rivoluzioni di liberazione nazionale dei popoli.